Dicono sia più semplice capire le cose quando finiscono, quando non ne facciamo più parte, perché riusciamo (dovremmo riuscire) a comprenderne meglio il senso, essere più razionali. Quando finisce qualcosa, qualsiasi cosa, non la butto via, ma continuo a tornarci su e a pensarci. Un esempio: ho ancora un paio di scarpe n. 38, adesso ho il n. 42 ma sono così belle che non mi immagino neanche di poterle buttare via. Per non parlare di tutte le storie d’amore! (che poi quale storia non è d’amore?) Non ne faccio più parte, ma ne ho fatto parte e mi ha cambiato.
È l’ultimo giorno del 2020, esattamente un anno fa stavo andando in FlixBus a Milano, a vedere Myss Keta in piazza Duomo e poi a infilarmi al Toilet. Davvero si potevano fare tutte queste cose? Oggi invece lo passerò a riguardare fotografie, pensare alle persone che ho incontrato, a quelle che non rivedrò più, ai biglietti dei musei, ai messaggi importanti salvati sull’iPhone, ai progetti interrotti. A tutto quello che lascerò nel 2020. Sono davvero tante cose. È stato un anno che mi ha fatto provare emozioni giganti, non sono mai stato così felice e così triste. Ma sono grato di ogni cosa. Mi sono sempre lamentato di una vita monotona, prometto che non lo farò più! Il 2020 è stato come vivere una storia fantascientifica, da fine del mondo, ma anche come essere protagonista di un videogame in cui la missione era sopravvivere e salvarsi da un virus.
Un’altra domanda ricorrente, di conseguenza, è: come sarebbe stato quest’anno senza tecnologie? Sicuramente peggio. Ho passato così tanto tempo collegato a un dispositivo, spesso anche a più schermi contemporaneamente, che è quasi inimmaginabile. Lezioni universitarie. Videocall con amici. Giornali online. Tour virtuali nei musei. Sedute di sexting. Interviste. Tutto quello che facevo normalmente, l’ho fatto attraverso uno schermo. Così tanto tempo che non riuscivo più a stare senza un cellulare o un computer. Ho sofferto di insonnia e mi sono svegliato spesso nella notte solo per vedere lo schermo luminoso dell’iPhone accendersi. Mi sono mancate le persone, tantissimo.
Ho sempre pensato che la vista fosse il senso principale, quello di cui non avrei potuto fare a meno. Ma abbracciare, scontrare, baciare, toccare … la parte tattile della vita. Sentire un’altra pelle accanto alla mia. Una cosa così elementare ma di cui ho una fortissima nostalgia. A volte mi ritrovo a vedere vecchi video in cui ballo in mezzo a tantissimi corpi e mi emoziono. È la prima cosa che farò, una volta finito tutto questo: andrò a ballare, a spiaccicarmi contro gli altri.
Con le restrizioni e le conseguenti difficoltà a spostarsi, è cambiata la mia concezione di spazio. Tutto si è fatto più grande, e tutto lo è rispetto alle dimensioni di un appartamento. Così ho riscoperto posti bellissimi proprio dietro casa. E io che sono sempre stato affascinato dalle grandi città e dalle fiumane di persone, mi sono innamorato dei boschi, dei laghi, delle montagne e del mare. Di tutti quegli spazi che non hanno bisogno di altro per essere belli. Ci sono andato da solo ma anche con gli amici di sempre. Quelli che avevo perso perché eravamo lontani, tutti a studiare in città diverse. Ci siamo ritrovati obbligati a tornare e a ri-conoscerci.
Il 2020 non è un anno da buttare e non è stato nemmeno un anno, sono stati 366 giorni.
-Abram Tomasi
Credits: @risethecat